La comunicazione persuasiva

La comunicazione moderna ha assunto col tempo un ruolo sempre più persuasivo nei confronti della società del consumo; le leggi del mercato richiedono una capacità d’espressione visiva che non poteva prescindere dalla psicologia per creare una vera e propria strategia di seduzione del consumatore.

Da questo punto di vista è interessante analizzare la comunicazione persuasiva per eccellenza, ovvero quella creata negli anni dei conflitti. In questo articolo affronteremo proprio questo tema cercando di inserirlo nel contesto storico che per forza richiedeva un atteggiamento teso a manipolare lo stato d’animo delle persone.

Gli anni dal 15 al 18 furono invasi da una marcata propaganda di ordine bellico. Essa fu caratterizzata da una comunicazione semplice, immediata, spettacolare e capace di colpire differenti ceti sociali.
Le immagini dei manifesti occupavano quasi tutto lo spazio del foglio e i claims erano composti con un lettering d’impatto in modo da ottenere un messaggio immediato e sintetico. I contenuti promuovevano l’invito all’arruolamento, la creazione d’odio verso il nemico, il sostegno ai combattenti e la fiducia nella vittoria.
Il manifesto bellico per antonomasia fu riconosciuto in quello dello Zio Sam composto da Motgomery Flagg.
La successiva grafica propagandistica di natura politica infatti prese spunto da qui.

Durante la Grande Guerra il manifesto pubblicitario venne usato come veicolo di propaganda bellica per far leva sopratutto sullo spirito patriottico e sul coraggio dei popoli coinvolti.
I manifesti utilizzarono un linguaggio vicino a quello pubblicitario; furono di vario genere e diretti a fasce sociali diverse tra loro. I manifesti avevano vari compiti, quelli rivolti alla massa dovevano guadagnare fiducia, giustificare alleanze o ren­dere popolari determinate scelte governative, quelli rivolti ai soldati dovevano stimolare il coraggio e il senso patriottico, mentre quelli che avevano come mittente le famiglie dovevano invitare a collaborare attivamente alla guerra e all’econo­mia del paese, sopportando con più serenità le difficoltà del momento.
Per rendere più popolari o motiva­re determinate scelte politiche si attuarono vere e proprie campagne mediatiche in cui il manifesto ne fu il protagonista; il linguaggio in questo caso doveva essere semplice, diretto e di bassa qualità, volto a conferire credibilità senza fonda­mento.
Alcuni manifesti furono diretti a co­loro che furono coinvolti direttamente nello scontro bellico; Questi furono i manifesti di chiamata alle armi come, appunto, l’ameri­cano “Zio Sam” che incitava i gio­vani statunitensi ad arruolarsi nella U.S.A. Army.
Questi manifesti furono assai diffusi; l’iconografia era uniforme: un solda­to col dito puntato verso chi legge, che invitava i cittadini a non sottrarsi al proprio dovere.
Più rari furono invece i manifesti destinati a chi, già arruolato, doveva tenere un comportamento di massima sicurezza per evitare dif­fusioni di informazioni militari se­grete tra il nemico. Questi manifesti erano semplici, quasi didascalici, in quanto descrivevano tramite l’imma­gine il contenuto dell’avviso come ad esempio “il nemico vi ascolta” o “lui ha parlato, loro sono morti”.

Molto sentimentali e coinvolgenti furono invece i manifesti rivolti al pubblico femminile, in particolare alle madri e alle mogli dei soldati. Questi manifesti invitavano al rispar­mio, alla collaborazione col gover­no o con l’esercito e facevano leva sul sentimento per incoraggiare le famiglie.
Il linguaggio era meno eroico e duro, e utilizzava tematiche toccanti che potessero essere colte dal passante. Talvolta si trattava di veri e propri av­visi comportamentali.

Quando la Grande Guerra si avvicinò minacciosa come una nube nera, i manifesti in tutto il mondo diventarono vere e proprie armi.
Gli stati belligeranti dovevano con­vincere la massa a sacrificarsi per la guerra, a sacrificare le proprie ric­chezze, il proprio figlio o a maledire la nazione nemica.
Già nel 1915 la guerra allargò le sue braccia a tutto il mondo e in tutte le potenze si poterono trovare gli stessi tipi di manifesti.
Lo scopo principale diventò quello di spingere la popolazione giovani­le ad arruolarsi per la propria patria; l’arruolamento era un obbligo ma doveva diventare una passione.
Quando le truppe del Kaiser sulla Marna si infossarono in trincea, già a Berlino, a Parigi e a Londra si capì che la guerra aveva cam­biato volto, da li in poi sarebbe diventata lunga, dura, totale, e il suo esito non sarebbe dipeso solo dalla validità dei soldati, ma soprattutto dalla potenza di fuoco, cioè dalla militarizzazione economica e dalla conversione delle industrie in fab­briche di armamenti.
La forza lavoro serviva quindi anche nel­le retrovie; lo stato fu chiamato a comandare, a organizzare e a diri­gere la popolazione verso una militarizzazione della vita. La propaganda doveva fare leva sull’or­goglio maschile; in Inghilterra le soufragette fecero acquisire importanza alla voce femminile, ma in periodo di guerra il rapporto maschio-femmina ridiventò tradi­zionalista. I manifesti, a tal proposito, rappresentarono donne che ammi­ravano come eroi i propri uomini che partivano al fronte; l’uomo si batteva anche per il loro bene, e le madri con i loro figli dovevano aspettare a casa i propri uomini con pazienza e amore.
I temi patriottici, quindi, presero il sopravvento e la propaganda dovette radicarsi in sentimenti anteriori al­l’idea di patria. Il soldato fu chiama­to a battersi per una patria che era fatta a immagine e somiglianza del suo focolare familiare.

In Inghilterra la leva diventò obbli­gatoria, servivano uomini: “GO!” era il loro tono inequivocabile; il cittadino si doveva sentirsi in colpa se non parteci­pa alla guerra.
Il dito puntato americano, francese, tedesco e italiano ora era rivolto al pas­sante che ignorava la guerra, rimarcando il sacrifi­cio che per lui si stava facendo.

Pian piano la miseria nella popolazio­ne iniziò a crescere, la Spagnola cominciò a diffondersi e di conse­guenza i manifesti pensati per in­fliggere un senso di colpa persero la propria efficacia .I disertori aumentarono, gli scioperi socialisti si diffusero in Russia sfo­ciando nella rivoluzione, di conse­guenza i manifesti dovevano colpire i traditori; i precedenti manifesti concisi e didascalici lasciarono il posto a raffigurazioni commoventi.
Un altro compito molto importante venne affidato alla propaganda sociale: bi­sognava persuadere a essere solidari, a mangiare solo il necessario per risparmiare e soddisfare le richieste di cibo dei soldati al fronte.

In Italia, intanto, ci fu già la “disfatta di Caporetto” e lo sta­to addossò le colpe ai socialisti, rimasti sempre neutrali; nei mani­festi comparivano eroici soldati che indicavano le vedove di guerra, che rappresentavano l’amore, il sacrificio, il patriottismo, mentre sullo sfondo trasparivano i volti degli operai so­cialisti, freddi, traditori, insensibili.

Dopo la vittoria la figura femminile acquistò una nuova libertà e, anche se vedova, la donna doveva essere capace di andare avanti sostituendo in caso anche la figura maschile. L’illusione di una guerra giusta, di una pace in arrivo divenne sempre più forte; i reduci nelle piazze erano degli eroi e avevano combattuto per giusti principi.

La guerra finì, ci si dovette preparare alla ripresa e il manifesto oltre ad annunciare la vittoria e infierire sul nemico diventò una strumento di speranza di quella ripresa che arriverà ma non cancellerà mai le orme della distruzione lasciate dalla Grande Guerra.

Negli anni trenta con l’avvento dei reggimi totalitari, la grafica si sviluppò principalmente nel campo della propaganda politica, soprattutto nell’Italia fascista e nella Germania nazista.
Nei reggimi totalitari di massa, la propaganda ebbe un ruolo fondamentale, il fascio littorio e la svastica nazista poterono essere considerati dei marchi a cui vennero poi abbinati i vari ritratti di ogni genere dei dittatori e la grafica coordinata della dittatura, rafforzata anche dalla divisa.
Veniva impressa una visione di imponenza, grazie anche all’uso della prospettiva dal basso e, quando scoppiò la seconda guerra mondiale, la propaganda bellica trovò un terreno già fertile su cui svilupparsi.

La tecnica propagandistica fu del tutto simile a quella utilizzata nella Grande Guerra, ma questa volta le nazioni cercarono di evidenziare nei propri manifesti la tecnologia, l’arsenale bellico, e le forze possedute.
Sorsero nella seconda guerra mondiale degli studi interessanti sulla mimetizzazione per evitare il riconoscimento aereo.

Negli Stati Uniti e nella Gran Bretagna invece, la grafica si divulgò soprattutto per la diffusione dei prodotti delle grandi marche, e in Inghilterra soprattutto, si specializzò anche nei trasporti metropolitani sotterranei e nella relativa grafica coordinata a essi appartenenti.
Le tendenze stilistiche andarono ad attingere dalle esperienze dell’Astrattismo e del Surrealismo con una particolare attenzione all’avanzata del cinema e della fotografia. Si iniziarono a progettare delle grandi campagne per pubblicizzare i nuovi rituali di massa come la moda, il viaggio, l’esotismo, la propaganda politica e la diffusione dei beni di consumo, iniziando a interpretare la presentazione della marca, intesa come brand, packagin, e corporate identity, sostitutiva del prodotto stesso.

A Milano uscì la rivista Campo Grafico e iniziò la sua attività nello Studio Boggeri, il primo studio professionale di grafica aperto in Italia.
Campo Grafico uscì fino al 1939 e fu identificato da una incessante sperimentazione tecnica. Rappresentava in Italia, gli stimoli di una modernità che già l’arte contemporanea aveva espresso con le avanguardie.
Antonio Boggeri, dopo aver studiato conservatorio a Milano e aver fatto esperienza in un grande stabilimento poligrafico, si orientò verso la ricerca della grafica avanzata guardando soprattutto a quanto avveniva nell’Europa centrale, Germania e Svizzera in particolare.
Campo Grafico e lo studio Boggeri furono le punte avanzate della nuova grafica italiana, che tuttavia dimostrò in generale una crescente validità.

Anche la Seconda Guerra Mondiale giunse al termine.
L’immediato dopoguerra fu caratterizzato in Europa dalla penuria di beni di consumo e dall’ansia della ricostruzione, mentre negli USA si aprì la stagione del consumismo.
Dopo aver lasciato Dessau, e prossimo alla definitiva chiusura avvenuta a Berlino nel 33, il Bauhaus, o almeno il suo metodo, venne ripreso un poco alla volta dai paesi democratici,  soprattutto in America, cercando di ereditarne il quadro generale e la lezione stilistica. In molte città americane, si fecero delle esposizioni della famosa scuola, una sorta di rievocazione con la partecipazione dei più grandi maestri. A New York nel 1939, il MOMA (Musem of Modern Art) ne organizzò una esposizione, a cui partecipano i più grandi discendenti del Bauhaus stesso.
L’influenza del Bauhaus si espresse in questi anni con una nuova linfa; la persuasione verso l’osservatore avveniva non più con dei messaggi diretti ma con delle evocazioni nascoste che suscitavano delle sensazioni quasi inconsce.
Guarda qualche esempio di logo design in cui le regole derivate dal Bauhaus regolano i principi compositivi.


Bibliografia:
Storia del design grafico. Longanesi, 2003, di Daniele Baroni e Maurizio Vitta
Graphic design, Mondadori Electa, 2006, di Andrea Rauch.

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